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Il titolo di questo pezzo è un chiaro richiamo alla straordinarietà del libro in esame, scritto a quattro mani da due grandi professionisti del giallo e del noir come Camilleri e Lucarelli.
La struttura è quella del racconto lungo epistolare.
I due protagonisti della storia, il siciliano commissario Salvo Montalbano e la pervicace investigatrice Grazia Negro, risultano coinvolti in una investigazione dai contorni foschi. Un uomo, originario di Vigata, viene ritrovato morto nella cucina del suo appartamento a Bologna. Apparentemente un caso di suicidio. Sulla scena del delitto compaiono una busta di plastica, due pesciolini rossi e tanta acqua. Eppure alcuni dettagli sono mancanti. La vittima non indossa una scarpa e non ha al polso il suo solito orologio di sempre. Si tratta di dettagli insignificanti o di colossali indizi? E come mai l’investigatrice Negro, affidata inizialmente al caso, viene improvvisamente dirottata verso altri casi? Qualcosa non va. Qualcuno non dice la verità. E qualcun altro morirà.

Lo scambio epistolare tra i protagonisti nasce per volontà di Grazia, che desidera ricevere da Salvo opinioni e informazioni aggiuntive sul caso. La faccenda però va tenuta segreta ed ecco allora che per tutto il racconto i due poliziotti dovranno ricorrere a missive criptate, messaggeri insospettabili, falsi nominativi e trappole astute.
Dal punto di vista del lettore tutto questo si traspone in un alto livello di attenzione da mantenere più o meno costantemente, al fine di comprendere i particolari e ben interpretare il corso degli eventi. Ci si chiederà come mai Salvo faccia recapitare a Grazia un vassoio di deliziosi cannoli oppure cosa ci faccia una strana sequenza di numeri al termine di un messaggio ambiguo.
La difficoltà degli stratagemmi utilizzati non è mai eccessiva ed essi risultano così ben amalgamati con la linea degli eventi narrati da diventare in definitiva utili stimoli che vivacizzano il racconto stesso.

La trama in sé ha alcuni colpi di scena minori ma già dalle ultime trenta pagine si comprende chiaramente la fine della storia.
Seguono ulteriori spoiler.

Il finale si risolve in una bolla di sapone. Il mistero iniziale della morte dell’uomo con i pesci viene liquidato in una battuta da un personaggio femminile incontrato nel corso degli eventi. I due protagonisti, messi in serio pericolo dalle loro stesse indagini, tornano beatamente alla loro vita di sempre, convinti in modo ostinato e scarsamente credibile che sia finito tutto bene. Ovviamente un finale del genere è necessario per esigenze di scena letteraria e per la necessità di garantire ad entrambi gli autori piena libertà sullo sviluppo dei rispettivi personaggi. Eppure comunque le cose non convincono.
Anche perché dei due la più esposta è la stessa Grazia Negro, che al termine del libro torna a lavorare tranquillamente e pacificamente nello stesso dipartimento in cui si trovano gli stessi superiori doppiogiochisti che la avrebbero prima sospesa dal caso e poi sabotata ripetutamente.
Ed anche l’antagonista del racconto appare piuttosto scialba, poco convincente e mossa da motivi futilmente sottointesi.
Comunque va riportato che problemi di questo tipo sono in parte dovuti ai limiti della struttura epistolare del racconto, che impone sempre e solo i due punti di vista di Montalbano e Negro e lascia poco spazio ad eventuali comprimari.
Nelle ultime pagine però si percepisce una certa fretta nella narrazione e una volontà perentoria di voler chiudere con il classico ‘e tutti tornarono alle loro vite tranquille’.

Da segnalare l’innovazione perseguita dagli autori, che allegano alle epistole dei due poliziotti anche finti dossier, documenti riservati, foto e biglietti identificativi, allo scopo di aumentare l’immedesimazione del lettore nelle indagini. L’idea è proprio questa: permettere a chi legge di raccogliere alcuni elementi di base e fare delle previsioni sull’andamento delle indagini e sui possibili sospetti.

L’equilibrio tra due personalità forti come quelle di Grazia e Salvo è precario. In larga parte la fila dei fatti è portata avanti da Montalbano, qui perspicace come non mai. Grazia Negro appare per tutta la prima parte del racconto, e anche nel finale, quasi una subordinata di Salvo, sempre pronta a chiedere spiegazioni e delucidazioni al collega con una frequenza che ha quasi dell’irritante. Solo nelle pagine centrali del racconto la donna si dimostra essenziale per le indagini e fa sfoggio della propria grinta e determinazione.
Numerosi sono i personaggi comprimari ‘famosi’ che vengono citati nel libro, quali la gelosissima Livia, eterna fidanzata di Salvo, l’apprensivo Simone, il compagno cieco di Grazia, per non parlare poi dei divertenti Catarella, Fazio e Augello.

I proventi delle circa 96 pagine di ‘Acqua in Bocca’, accompagnato poi da un’altra manciata di pagine contenenti l’antefatto e la genesi del lavoro, saranno devoluti ad associazioni benefiche, come riportato dagli autori.

GIUDIZIO FINALE: il libro si presta ad una lettura veloce ma richiede un grado di attenzione non indifferente. La storia è inizialmente intrigante ma viene stravolta nel seguito e banalizzata nel finale. Interessante la multimedialità dell’opera, che riporta anche fascicoli, referti e foto riguardanti le indagini. La struttura epistolare soffoca lo sviluppo di nuovi personaggi comprimari efficacemente caratterizzati. La seconda parte del racconto è poco soddisfacente e piuttosto frettolosa.
Il mio voto finale per ‘Acqua in Bocca’ è di 7,85.